Dove sta andando la teologia contemporanea? Che senso ha, oggi, alla fine del secondo millennio, portare avanti una riflessione teologica che possa essere all'altezza dell'epoca che stiamo vivendo e, contemporaneamente, capace di farci uscire da quel cinismo esasperato che sembra essere la nota caratteristica di fine secolo? [1] Questa è la domanda che nasce spontaneamente ascoltando uno dei 'grandi vecchi' della teologia di questo secolo - padre Edward Schillebeeckx (cfr. scheda bio-bibliografica). Ha fatto parlare molto di sè in questi anni - a partire dalla pubblicazione nel 1966 del «Nuovo catechismo olandese» fino ad arrivare ai vari processi in cui è incorso a Roma per chiarire alcuni punti dogmatici controversi della sua ricerca teologica. E' venuto in questi giorni, paradossalmente qui a Roma, a presentare due testi appena pubblicati in italiano: Umanità. La storia di Dio, uscito nel 1989 in Olanda e tradotto nel 1992 dalla Queriniana nella Biblioteca di teologia contemporanea (n. 72); e Sono un teologo felice. Colloqui con Francesco Strazzari - il risultato di un'intervista tenuta per alcuni giorni a Nimega (Paesi Bassi), edita dalle edizioni Dehoniane di Bologna.
Padre Schillebeeckx, dopo aver lungamente riflettuto alla fine degli anni '60 sull'impatto e sugli effetti della secolarizzazione nel mondo contemporaneo e nella coscienza credente, ha fatto della costante correlazione tra problematicità dell'esistenza umana e fede cristiana il pungolo della sua ricerca teologica [2] . La teologia cristiana per lui non è semplicemente uno spettro di riflessioni o di analisi 'dedotte' dal patrimonio della fede, ma si dà solo come ricerca tramite un costante ed insonne dialogo tra il depositum fidei e i problemi e le angosce dell'uomo contemporaneo - secondo la lezione fatta valere dal Concilio Vaticano II.
In questo senso la sua ricerca teologica è stata giustamente interpretata come ermeneutica dell'esperienza cristiana; essa, non rinuncia all'umano nè, tanto meno, fa di questo un momento dialetticamente già-da-sempre superato dalla rivelazione cristiana ma ritrova nei vari progetti antropologici di liberazione elaborati con mano autonoma dall'uomo una «tematizzazione di un'esperienza universale di ricerca di senso che rimanda ad un orizzonte di pienezza di umanità e di integrità umana (il souhaitable humanine secondo la formulazione di Ricoeur)» [3] . Una volta accettata positivamente la secolarizzazione come l'esperienza dell'uomo (post)-moderno che vive in un «mondo diventato adulto» (Bonhoeffer) e per il quale il Vangelo deve essere letto 'mondanamente' [4] , Schillebeeckx ha comiciato ad interrogarsi sul posto che la Chiesa occupa in questa nuova situazione, specialmente là dove il mondo risulta «pieno di sensi e di non sensi, di fortuna e di svenutura» e sul limitare del ventunesimo secolo è scosso da nuovi olocausti» [5] . E' in tale mutato panorama - ha affermato Schillebeeckx - che la chiesa deve riflettere sul volto che vuole assumere per continuare ad essere un segno credibile di speranza: «In tale situazione critica ed ermeneutica, quale è il compito della chiesa, delle nostre comunità cristiane? Fino a che punto la chiesa stessa vive l'incertezza, la precarietà in una situazione nella quale lei pure si trova immersa?». La teologia di questo 'grande vecchio', profondamente «contestuale» [6] , sembra oggi attardarsi sulle "cose penultime", preoccupata di intendere il volto dell'epoca attuale, perchè sulle "cose ultime" si deve restare in silenzio, «devono restare non dette». Per lui, l'esperienza dell'uomo d'oggi va radicalmente indagata - secondo il motto della fenomenologia: «ritorno alle cose stesse» !!! -, va osservata con occhio vigile, aperto, appassionato. Al di là dei pregiudizi e degli schemi di comodo, essa pare presentarsi brulicante «di contraddizioni e sofferenze», disordinata e qui l'uomo vive facendo l'esperienza originaria dell'indignazione. Essa non è riconducibile né al pessimismo dato da una situazione irrisolvibile né al disfattismo più cinico ma si fonda su una sorta di intuizione che ciascuno possiede e che si esprime come «veto irresistibile degli uomini contro l'inumano nel mondo»
Mediante questa indignazione, all'uomo si manifesta una «seconda dimensione», una «prospettiva positiva» da cui guardare l'esistenza, il mondo, la storia: «questo rifiuto umano della disumanità rivela inoltre un'apertura a una situazione nuova che avrà, essa sì, diritto al nostro "sì" di approvazione. (...) Questa dimensione rivela l'aspettativa positiva che il nostro mondo sia "migliorabile", (...) una fede nell'umanità dell'uomo». Anche se il senso globale della storia sembra sfuggire all'uomo, anche se «questa storia può perdurare priva di senso ultimo» - questa è l'esperienza fattuale di ogni giorno - proprio l'indignazione, nel suo esserci qui ed ora, «palesa un non-compiuto, un non-esaurito, un vuoto in attesa di pienezza, e dunque un "sì aperto", tanto incrollabile quanto il "no" o il veto, anzi ancor più, poichè tale "sì aperto" fonda il "no" all'inumanità e lo rende possibile» [7] .
Quest'esperienza di una speranza piantata nel cuore dell'uomo, di una speranza capace di andare al di là di ogni «sofferenza manifesta o segreta» - afferma Schillebeeckx - è profondamente umana, comune al credente e all'agnostico e, confermata dalla storia delle religioni dell'umanità, è il luogo su cui basare la solidarietà «di tutti con tutti» in vista di una distruzione di quel disumano che pare la realtà. «Chi crede in Dio - dice Schillebeeckx - conferisce a questa esperienza a due facce un contenuto di tipo religioso. In tal modo il 'Sì aperto' viene ad assumere un più preciso orientamento e rilievo. La sua origine non è vista tanto, od almeno non è vista direttamente, nella trascendenza del 'Divino' (ineffabile e anonimo, inesprimibile in parole), quanto piuttosto (se non altro per i cristiani) nel volto umano di questa Trascendenza, così come ci è apparsa nell'uomo Gesù, che noi confessiamo come Cristo e Figlio di Dio» [8] . Ma che cos'è questa esperienza, almeno da un punto di vista umano, se non il sintomo del bisogno di cambiamento «radicale e definitivo»? E, da un punto di vista cristiano, che cos'è questa «esperienza contraddittoria fondamentale e il connesso rifiuto dell'ingiustizia, al pari della prospettiva aperta su qualcosa di migliore» se non il rimando a quella storia della salvezza in cui, «benchè sempre attraverso la mediazione degli uomini e di altri fattori terreni», si compie la storia della liberazione e della salvezza dell'uomo? In questo senso, non a caso, Schillebeeckx ha affermato, riprendendo ciò che un ragazzo ebbe a dirgli un giorno, che «gli esseri umani sono le parole di cui Dio si serve per raccontare la sua storia».
Quello che la chiesa oggi è chiamata ad annunciare, secondo padre Schillebeeckx, è una salvezza che riguarda 'tutto l'uomo', spirito, anima e corpo, in quell'unitarietà che caratterizza l'antropologia cristiana. «Quattro grandi simboli della tradizione ebraica e cristiana ci suggeriscono la direzione in cui i cristiani devono cercare per intuire quanto Dio sogna per l'avvenire dell'umanità (corsivo nostro), affinchè uomo e donna vivano finalmente felici in mezzo alle altre creature»: il simbolo del Regno di Dio; la risurrezione della carne; la metafora biblica dei nuovi cieli e della nuova terra; l'unicità della figura di Gesù Cristo. Tali metafore traducono il fondamento meta-etico dell'impegno etico dei cristiani nel mondo. Proprio perchè «parlare di Dio non riceve il suo senso pieno se non nel quadro della prassi del regno di Dio» [9] , la chiesa è chiamata a diventare testimone della storia di Dio, non comprimendosi la salvezza in un regno meramente spirituale o in un futuro solo celeste, ma aprendosi e rivolgendosi agli altri: all'umanità che vive nel mondo [10] .
http://www.orarel.com/pensieri/coccolini/gioia_credente2.htm
Nessun commento:
Posta un commento