Questo blog è personale. Contiene alcune omelie rivolte ai fedeli di Stoner di Enego,provincia di Vicenza, dal 1986 al 2002 ed omelie dal Monastero di Bose. Il blog contiene inoltre molte riflessioni sulla speranza cristiana , sulla sofferenza, sul senso del dolore , ricavate dalle pagine WEB, contiene anche qualche preghiera e altre verità della nostra religione cristiana cattolica.
venerdì 4 maggio 2012
Commento alle letture 6 maggio 2012 (G.Bruni)
Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all'Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose. Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI).
Letture: At 9,26-31; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8.
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore»
1. «Uomo, dove sei?» (Gen 3,9). Importante è la domanda della collocazione, da essa infatti dipende la propria consistenza, vale a dire la propria saldezza, il proprio orientamento e la propria sussistenza.
Domanda soggetta a molteplici risposte sia di tipo personale che collettivo, ciascuno e ogni società di fatto sono chiamati a dire a se stessi e agli altri le ragioni su cui poggia il proprio modo di intendere la vita. Ragioni che ci abitano e nelle quali dimoriamo, e questo avanti ogni valutazione critica su di esse. Il cristiano non è esente né dalla domanda né dall’abitare un mondo estremamente variegato a proposito delle motivazioni fondative dell’esistere, semplicemente è provocato ogni giorno di più a uscire dal vago e a rendere conto a se stesso, alle Chiese e a ogni uomo della speranza che è in lui (1 Pt 3,15). Speranza il cui nome è detto con estrema chiarezza nel capitolo 15 del vangelo di Giovanni: «Rimanete in me-le mie parole rimangano in voi-rimanete nel mio amore» (Gv 15,4.7.9). Il discepolo di Gesù, individuo e comunità, alla domanda «dove sei» risponde nell’amicizia del mio Signore, nella sua parola e nel suo amore; da questa collocazione, sua vera e unica patria, egli legge e vive la realtà nella consapevolezza di trovarsi di fronte non a un discorso per anime pie e elette ma semplicemente al «principio costitutivo essenziale di ogni vita cristiana» (R.E.Brown). Ciò che definisce il cristiano è l’imprescindibile relazione con Gesù il risorto-vivente e con i doni della sua parola e del suo amore, rapporto che l’evangelista Giovanni descrive e esemplifica facendo ricorso a una formula di immanenza: «Rimante in me e io in voi» (Gv 15,4) spiegata dall’immagine della vite e dei tralci, cara al retroterra biblico profetico e salmodico che ama leggere Israele in termini di vigna di Dio (Os 10,1; Is 5,1-7; Ger 2,21; Ez 15,1-8; 19,10-14; Sal 80,9-19).
2. L’immagine inizia con il presentare i soggetti in questione, sullo sfondo il Padre: «Il Padre mio è il vignaiolo», al centro il Signore Gesù: «Io sono la vera vite», a valle i discepoli: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15,1.5). E l’ intenzione in questione: «Che portiate molto frutto» (Gv 15,8). Il problema sotteso al brano evangelico è l’operare dell’uomo, se e quali frutti produce, il che dipende da dove il suo mondo interiore dimora, se in un terreno buono lo saranno anche i frutti, diversamente sarà il contrario. La cosa sta molto a cuore al Padre di Gesù, un Dio nel dolore a motivo del dolore che l’uomo arreca all’uomo e a sé; per questo, nel suo amore ferito ma non risentito, decide di inviare come sua ultima risorsa il Figlio la cui compagnia, ove accolta, e la cui parola, ove osservata, generano la nuova soggettività capace del compimento del bene, l’amare come amati da lui in Cristo (Gv 13,34). Questo è il frutto desiderato dal Padre che glorifica il Padre (Gv 15,8), lo manifesta cioè come desiderio di fioritura e di fruttificazione dell’essere, pienamente condivisi dal Figlio. Dio per questa ragione merita il grazie e la lode dell’uomo, vale a dire l’onore. Il resto è conseguenza. Lo è l’esortazione a «rimanere in lui e nella sua parola» come i tralci nella vite, ad aderire cioè al Tu di nome Gesù e al suo messaggio senza tentennamenti ma fermi e perseveranti in una amicizia e in una parola che restituiscono alla tavola della vita come uva pregiata. Lo è l’esortazione a non recidersi da lui, dalla sua parola e dal suo amore, simili a tralci staccati dalla vite, pena lo scivolamento nella impotenza: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,7). Sono molte le cose che l’uomo fa e può fare, ma il discepolo sa che solo in-con-per Gesù è possibile dire Abbà-Padre, è possibile amare come il Padre ci ama in Gesù, è possibile proclamare che nell’amare come amati sta la vita eterna. Un già in cammino verso il non ancora della sua adempiuta fruttificazione. Infine lo è l’esortazione a lasciarsi potare dal Padre-vignaiolo (Gv 15,2), indice di una cura tesa alla creazione di discepoli evangelicamente affinati, portatori dei frutti buoni della adorazione (Gv 4,23), dell’amore e della speranza della vita eterna.
3. «Uomo, dove sei?». La comunità cristiana è chiamata là ove essa dimora a risvegliare la domanda e a raccontare con la vita e con l’annuncio la propria esperienza, l’essere stati incontrati da un Tu la cui compagnia genera grappoli di uva buona e coppe di vino squisito per la gioia di una umanità non privata di melodie al cielo e di atti di amore alla terra. Un’ alta qualità della vita per raccontare la sorgente che la genera.
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